In queste pagine cercheremo, da una parte di raccontare come funziona il Fondo con riferimento all'attività di investimento delle risorse - la gestione mobiliare principalmente - e dall'altra di formarci un nostro parere sulla qualità della gestione e sui risultati ottenuti. L’obiettivo è quello di fornire un apporto - modesto - affinchè ogni uno di noi sia in grado di esprimersi ragionatamente sulla gestione, per maturare, nel voto, decisioni ragionate.

C'è anche una pagina con qualche concetto elementare di "finanza", che ci auguriamo possa interessarti nella tua veste di "risparmiatore".

Se arrivi per la prima volta sul blog, ti suggeriamo di incominciare la tua esplorazione dalla pagina "Perchè". Capirai tutto meglio!

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Unione Pensionati




UN BUON SEGNALE


Un paio di mesi addietro, un fresco-di-nomina Consigliere, dichiarava, in occasione di una Segreteria Nazionale dell’Unione Pensionati e a proposito della gestione mobiliare, che… “ad un primo sommario esame (lui) pensa che ci sia un atteggiamento di prudenza nella gestione dell’allocazione delle risorse, con difficili prospettive di rendimenti significativi”.  
Niente di più condivisibile, sia sul piano della (eccessiva) prudenza, che sul piano delle (modeste) aspettative!!!
 
Non ci è chiaro se questo giudizio – ribadiamo: correttissimo! – del nostro Consigliere, è riferito alla componente mobiliare della sola Sezione 1° o alla componente mobiliare del Fondo “in toto”.
Noi lo estendiamo alla componente mobiliare nella sua interezza, sia per quel che riguarda la “costruzione” e i risultati delle SICAV Lussemburghesi EFFEPILUX – i Sub-fondi -, sia per quanto riguarda i mix attuati dal Consiglio per la costruzione del portafoglio titoli della Sezione 1° e dei tre Comparti della Sezione 2°.
Inciso: non comprendiamo in questa valutazione i due Sub-fondi gestiti da EFFEPILUX ALTERNATIVE (quelli indicati cumulativamente come “investimenti alternativi”) sui quali invece abbiamo molte domande e più di una perplessità:  ma ci torneremo sopra.
Abbiamo voluto riprendere questa dichiarazione, perché ci sembra una importante novità nelle tematiche dell’Unione Pensionati: finalmente un esponente autorevole esprime una valutazione – critica – su risultati e prospettive della gestione.
Per la verità, altri avevano cercato in passato di portare a galla queste tematiche, ma costoro, all’evidenza, non erano sufficientemente “autorevoli” da raccogliere seguito, e quindi la loro segnalazione era caduta nel vuoto.
Ci sembra poi interessante la dichiarazione del collega, anche perché manifesta la “necessità di acquisire…maggiori informazioni per poter interpretare quanto comunicato dal Fondo attraverso memorie e prospetti…” (sempre che si sappia “quali” informazioni acquisire, e “su cosa”…).
Tutto questo comunque ci piace. E ci auguriamo abbia seguito.
Ma deve avere seguito a beneficio di tutti gli iscritti, perché vorremmo che fossimo tutti convinti che la conoscenza di queste informazioni è, prima che una necessità, un diritto degli iscritti, che vanno fatti partecipi di ogni informazione utile a capire come sono gestiti i propri risparmi previdenziali.
Il Bilancio Ufficiale non è in grado, per tante ragioni, di soddisfare questa esigenza: è il documento che si vota, ma non è un documento “per comunicare”.
L’informazione deve arrivare tempestiva, completa e dettagliata agli iscritti: eleggiamo i nostri – degli attivi e dei pensionati – rappresentanti in Consiglio anche per questo.
Ed è attraverso questo tipo di comunicazione che si coinvolgono gli iscritti nella vita del Fondo e li si stimolano al voto.
Ci aspettiamo molto dalla novità della dichiarazione del nostro neo-eletto Consigliere, e noi, se potremo aiutare, aiuteremo.
 

LO STATUTO DELL’UNIONE PENSIONATI
Dal verbale della Segreteria Nazionale dell’Unione Pensionati del 4 dicembre scorso, apprendiamo che  “..(si) ritiene necessaria una rivisitazione dello Statuto per renderlo più in linea ai tempi”…, e che di conseguenza “…la Segreteria Nazionale delibera di nominare una Commissione…alla quale affidare l’analisi e l’approfondimento delle proposte avanzate.”
Sulla questione Statuto, la Commissione Studi e la stessa Segreteria avevano lo scorso anno speso ore di discussione, arrivando infine a proporre al Consiglio Nazionale dell’aprile scorso un testo che veniva approvato, ma “con riserva”, in quanto tale testo sollevava, secondo uno dei votanti, “perplessità circa la struttura organizzativa rappresentata dalle nuove norme” (visualizza)
Comunque il nuovo Statuto è entrato in vigore il primo gennaio.
In vista dei lavori della neo costituita commissione, vogliamo anche noi tornare a ragionare sulla “struttura organizzativa” che aveva originato queste perplessità.
Lo avevamo fatto senza successo già in sede di Commissione Studi, e oggi ci riproviamo.
Dobbiamo partire dal modello organizzativo che una “associazione” (useremo temporaneamente questo termine solo per semplicità espositiva) come la nostra, potrebbe assumere.
Schema 1 : si formano gruppi locali autonomi che poi si aggregano in una “federazione” nazionale.
Ogni gruppo ha uno statuto proprio (indifferente se gli statuti risultano tutti uguali); gli iscritti sono soci di quello specifico gruppo e deliberano sulle materie attinenti il proprio gruppo, p.e. approvano bilancio e relazione annuale del gruppo.
I soci esprimono gli Organi Sociali di quel gruppo, e tra essi naturalmente il  rappresentante legale, cioè il Presidente del gruppo.
Quando più gruppi si aggregano per perseguire obiettivi comuni, danno vita ad una “federazione” i cui soci sono i gruppi (non i singoli), rappresentati nella “federazione” dai rispettivi Presidenti.
Sono i gruppi – attraverso i Presidenti – a deliberare in assemblea sulle materie attinenti la “federazione”, p.e. l’approvazione del bilancio annuale della “federazione”.
E, con la dizione “assemblea dei soci” si farà riferimento ai gruppi, rappresentati in assemblea dai Presidenti.
In questo schema si vede chiaramente che il singolo individuo “conta” a livello locale, ma non “esiste” a livello federale.
Schema 2 : i soggetti, le persone, che hanno interessi comuni, si aggregano in una unica “associazione” magari di dimensione nazionale.
L’associazione ha un unico statuto ed esprime un unico Presidente.
Tutti gli iscritti sono soci e tutti ugualmente concorrono all’adozione delle delibere dell’associazione: tutti gli iscritti votano per l’approvazione del bilancio dell’associazione.
Tutti – in teoria - vanno di persona p.e. a Milano per votare!
L’assemblea dei soci  è così davvero l’assemblea di tutte le persone fisiche aventi diritto al voto.
Nella realtà, e di fronte alla dimensione nazionale, non succede così; occorre che l’associazione adotti un modello organizzativo idoneo: ecco allora l’articolazione, per puri fini operativi, in gruppi territoriali, che normalmente si dotano di un “regolamento” che ne disciplina l’operatività interna.
Le singole persone si appoggiano, cioè si iscrivono, al gruppo territoriale di competenza, ma sono socie dell’associazione nazionale.
Come soci, tutti avrebbero diritto ad andare a Milano a votare, ma, per semplificare ulteriormente, si prevede che i soci iscritti ad ogni singolo gruppo deleghino una persona a rappresentarli nelle assemblee nazionali.
A Milano per l’approvazione del bilancio vanno allora solo i delegati dei gruppi, e se la delega è  affidata al Presidente del gruppo, costui va a Milano con in testa il cappello di delegato e non quello di Presidente di gruppo.
Quindi l’assemblea dei soci, è in realtà l’assemblea dei delegati; se il termine non piace possiamo inventarne un altro, ma la sostanza non cambia.
La nostra Unione è articolata secondo questo schema.
Il  modello organizzativo dei suoi Organi,  dovrebbe quindi essere articolato di conseguenza.
Su questo modello  andrebbe allora ricalibrato lo Statuto, che, a nostro parere, induce oggi  a confondere prerogative ed attribuzioni dell’unità territoriale (il gruppo) con quelle dell’Ente (l’Unione), malinteso forse anche indotto da una poco lineare articolazione in Statuto dei diversi argomenti.
La conseguenza più importante si palesa nel fatto che non è più riconoscibile né la fondamentale distinzione, né il diverso livello gerarchico, che esiste tra  Presidenti di gruppo e “delegati” di gruppo.
Intendiamoci, da un punto di vista strettamente giuridico, non c’è niente che non va!
L’Unione è una “associazione non riconosciuta” il cui “ordinamento interno ed amministrazione…sono regolati dagli accordi degli associati” (art. 36 CC): tutto quello che prevede lo statuto – alla sola ovvia condizione che tali previsioni non siano in contrasto con norme imperative – impegna i soci.
Sotto questo profilo quindi, niente da eccepire sulle regole in vigore.
Però l’architettura generale dello Statuto potrebbe essere migliorata a vantaggio della chiarezza e della miglior definizione delle prerogative e attribuzioni dei diversi organi sociali.
Lo Statuto in fondo, è il biglietto da visita dell’Ente: se è chiaro e semplice, lineare e coerente, in una parola: “pulito”, tanto meglio!
Nel prossimo blog alcune proposte che, secondo noi, correggerebbero le anomalie più evidenti.
LO STATUTO DELL’UNIONE PENSIONATI – PROPOSTE
 
Si è detto che l’Unione non è una “federazione” di Gruppi locali singolarmente autonomi, ma un organismo unico nazionale, suddiviso in Gruppi territoriali ai soli fini logistici.
I singoli soci, membri dell’Unione attraverso l’iscrizione al Gruppo territoriale di competenza, esercitano le proprie prerogative di socio – il voto – non direttamente (partecipando in massa alle Assemblee dell’Unione) ma – ancora una volta per una questione logistica – attribuendola, Gruppo per Gruppo,  ad un terzo, cioè un “Delegato di Gruppo”.
Il delegato non deve necessariamente coincidere con il Presidente del Gruppo, anche se è verosimile aspettarsi che lui sia il socio sul quale convergono in maniera naturale le deleghe.
 
Per rendere lo Statuto oggi in vigore coerente con questa premessa, occorre ridefinire gli Organi Sociali, ridisegnando di conseguenza le loro attribuzioni.
Lo Statuto attuale, una volta indicata la natura, sede sociale, e scopi dell’Unione, definiti i requisiti del Socio ed elencati i Gruppi Territoriali (“…al fine di relazionarsi più facilmente con i soci, l’Unione si articola nei seguenti Gruppi Territoriali…”), introduce nel Titolo III la “ Struttura interna: Organi Sociali ” stabilendo all’art 7 che: 
Organi Sociali sono:
- Assemblea dei Soci;
- Consiglio di Gruppo;
- Consiglio Nazionale;
- Presidente dell'Unione;
- Segreteria Nazionale;
- Revisore dei Conti;
- Collegio Probiviri.
E’ esattamente da qui che nasce l’equivoco che continuiamo a sottolineare e che rende confusa l’attuale impostazione statutaria: Assemblea dei Soci e Consiglio di Gruppo, insieme a tutto quanto segue nei successivi articoli fino al 18 compreso, vanno – e sono – riferiti alla struttura e funzionamento interno del Gruppo Territoriale e nulla hanno a che vedere con il funzionamento degli Organi dell’Unione.
A livello nazionale, non esiste una Assemblea dei Soci così come non esiste il Consiglio di Gruppo.
Ci ripetiamo fino alla nausea: i soci non partecipano in massa alle Assemblee dell’Unione; non vanno tutti a Milano a votare. Eleggono, Gruppo per Gruppo, un rappresentante, cioè un Delegato.
Se succede che delegato è lo stesso Presidente del Gruppo, nulla cambia: costui va a Milano a votare con il cappello di  “delegato” e non con quello di “Presidente”. 
E quando tutti i Delegati si ritrovano, convocati  da chi ne ha la facoltà, per  esprimessi sull’operato dell’Organo Esecutivo -  la Segreteria Nazionale - costoro, insieme, formano la
Assemblea dei Delegati di Gruppo (ADG per brevità). 
Questo è il primo tra gli Organi Sociali dell’Unione!
Indichiamolo con un termine che elimini una volta per tutte ogni possibilità di equivoco relativamente all’origine del mandato di cui sono investiti i votanti in sede di Assemblea Nazionale.
Dopo vengono Consiglio Nazionale ed il resto.
Il successivo art. 8 dello Statuto in essere, norma la
Assemblea dei Soci – Consiglio di Gruppo
L'Assemblea dei Soci è convocata dal Presidente di Gruppo, si articola per Gruppi Territoriali ed
è fondamentale espressione dell'Unione….
Come già detto, questo articolo ed i successivi fino al 18, disciplinano esclusivamente la vita del Gruppo Territoriale.
Ma poiché in questo punto dello Statuto si deve trattare degli Organi dell’Unione, questi articoli risultano collocati nel posto sbagliato.
 
Certo i Gruppi rappresentano la struttura portante dell’Unione; ma non per questo sono “Organi” dell’Ente: sono delle unità amministrative, che è comunque opportuno strutturare secondo regole uniformi.
Ma queste norme di funzionamento risultano meglio collocate in un “Regolamento” espunto dallo Statuto, il cui schema tipo sarà deciso dalla Segreteria Nazionale e al quale dovranno conformarsi le unità locali, ammettendo previsioni specifiche – sottoposte ed  autorizzate - che meglio riflettano particolari esigenze di quel Gruppo.
Quindi: da una parte Statuto, con gli Organi dell’Unione: ADG, CN, ecc.; dall’altra Regolamento con gli Organi del Gruppo Territoriale: Assemblea dei Soci, Presidente, ecc.
Detto questo, possiamo pensare a come “attribuire” la rappresentanza ai Delegati.
La potranno attribuire volta per volta i Soci del Gruppo Territoriale riuniti in Assemblea (questo aspetto dovrà essere disciplinato nel Regolamento cui si diceva sopra) ma si può ipotizzare che sia lo Statuto dell’Unione ad attribuirla automaticamente ai Presidenti: così infatti avviene oggi. 
Questa seconda strada, pur legittima, non ci piace perché semplicemente cancella con un tratto di penna il diritto del socio a decidere chi lo deve rappresentare nell’espressione di voto.
In più non ci convince, perché abbiamo la sensazione – ma qui potremo essere in errore perché non siamo così ferrati in diritto – che, per il principio inderogabile secondo cui il delegato non può delegare, nel caso che il Presidente del Gruppo sia a letto con l’influenza quando si tratta di andare a Milano per votare la relazione annuale, nessun altro potrà prendere il suo posto, e quindi il Gruppo si ritroverebbe nell’impossibilità di partecipare ai lavori, e al voto, dell’ADG.    
Organo statutario immediatamente successivo all’ADG, rimane il
Consiglio Nazionale (CN per brevità)
che potrà, nella sua composizione, essere esattamente come è ora.
Poiché al CN partecipano i Presidenti di Gruppo, non dimentichiamo che costoro, se hanno anche ricevuto la delega dal proprio Gruppo, siedono in ADG con il cappello di delegati, e siedono in CN con il cappello di Presidente di Gruppo.
Se viceversa il Gruppo territoriale ha delegato persona diversa dal Presidente, vorrà dire che il Gruppo sarà presente con il delegato per i lavori dell’ADG e con il Presidente per i lavori del CN.
E non vediamo in questo assolutamente niente di strano in quanto i due, nelle circostanze, “fanno un mestiere” diverso.
In termini pratici, dovrebbe succedere questo:
almeno una volta all’anno viene convocato un CN (cui partecipano “Presidenti”).
Discutono e deliberano e la riunione si chiude con un verbale.
Chiusi i lavori del CN – “quanto dopo” è solo un problema organizzativo –  si riunisce l’ADG (e qui troviamo  “Delegati”).
E anche qui votazione, delibere, e verbale. 
Due eventi: due soggetti diversi (due soggetti giuridici diversi, e non necessariamente due persone), due convocazioni, due ordini del giorno (ogni uno per le materie di propria competenza), e due verbali.
Ma anche due diverse modalità di attribuzione di voto:
nell’ADG i presenti sono delegati, e siccome stanno esercitando un diritto dei soci, deve valere la regola del “tanti soci, tanti voti”.
Il Delegato ha a disposizione tanti voti quanti sono i soci del suo Gruppo in regola, al 31 dicembre precedente, con il pagamento della quota sociale.
Situazione diversa nel CN dove i Presidenti di Gruppo partecipano per la loro carica di Presidente. Nessuna delega; vale la “posizione gerarchica” ricoperta.
Quindi, al pari degli gli altri membri del CN con diritto al voto –  Presidente, Vice Presidente, Segretari Nazionali - “una testa, un voto”.    
Ultimo passaggio quello della definizione delle attribuzioni rispettivamente all’ADG e al CN.
 
All’ADG deve senza ombra di dubbio essere attribuito il diritto di approvare il bilancio e la Relazione Annuale dell’Organo Esecutivo che è la Segreteria Nazionale. (oggi questa facoltà è attribuita ai Presidenti di Gruppo riuniti in Consiglio Nazionale).
Che questo diritto spetti esclusivamente ai Soci (attraverso i Delegati) in Assemblea ordinaria, non crediamo si possa eccepire. Sullo stesso livello, ma in Assemblea straordinaria, mettiamo  però anche ogni decisione riguardo allo Statuto e allo scioglimento dell’Unione (anche il Fondo Pensione riserva queste prerogative ai soci).
Tutto il resto demandato al CN.
 
                                                                          ******
 
Abbiamo già avuto modo di dire che in una Associazione non riconosciuta come è la nostra, quanto previsto dallo Statuto è, per i Soci,  norma.
Una regola statutaria che preveda che i soci devono portare un calzino bianco ed uno rosso, sarebbe quindi valida, ma farebbe molto ridere.
Lo schema di Statuto che proponiamo non fa ridere….
E così dovrebbe risultare anche nel suo articolato, nella successione cioè delle norme – i tanti articoli che comporranno lo Statuto – chiara, lineare e consequenziale, e che rifletta le linee guida sopra descritte.
                                                                          ******
 
Chiudiamo con una questione che dovrebbe essere nuovamente ripresa ed approfondita, quella relativa al:
vincolo che lega le cariche di Presidente e Vice Presidente alla residenza a Milano.
Per quanto ci sforziamo, non riusciamo a trovare una giustificazione razionale a tale vincolo, tanto più incomprensibile in quanto riferito ad entrambe le cariche di vertice dell’Unione.
Ne’ ci pare  “vitale” una supposta esigenza di tipo operativo.
Senza tirare in ballo annose diatribe sulla “supremazia” esercitata dai Gruppi più numerosi a scapito di quelli più piccoli, questo è un vincolo che, soprattutto prospetticamente, porterà solo a sacrificare i meriti e le capacità di tutti quei candidati che non potranno esibire il codice postale corretto.
E l’Unione ha bisogno di competenze e valori e non di codici postali.  
                                                                         ******
Resta da augurarci che si rifletta serenamente e seriamente su queste proposte per darci, nella prossima edizione, uno Statuto più consono alla realtà che l’Unione rappresenta.



NELLA RELAZIONE AL BILANCIO VORREMMO POTER LEGGERE ….

Tra un paio di mesi verrà pubblicato il Bilancio del Fondo e potremo leggere la Relazione del CdA sull’esercizio chiusosi a dicembre.
Si tratta sempre di un documento alquanto corposo che crediamo sia letto da pochissimi volonterosi: la maggioranza si accontenta del succinto comunicato stampa che precede la pubblicazione del Bilancio e che, al netto del richiamo alla situazione economico/finanziaria generale,  riporta fondamentalmente il risultato di gestione delle due classi di attivi – componente mobiliare e componente immobiliare – e la conseguente performance attribuita alla Sezione 1° e Comparti Sezione 2°, accompagnata  dall’indicazione del livello di rischio assunto (la volatilità). 

E' un peccato che sia così, perché quel comunicato non offre nessun elemento obiettivo di valutazione: il risultato, espresso in un più tot percento (o meno tot percento, quando le cose non sono andate bene) non ha nessuna valenza segnaletica perché non raffrontabile ad un benchmark.
Emotivamente si potrà essere contenti di un risultato positivo, o delusi per uno negativo, ma quel “numero” da solo, non consente di esprimere un  giudizio razionale sulla gestione.
Per poterlo fare occorre vengano fornite ulteriori informazioni – diremo più oltre quali – oppure non resta che  leggere la Relazione.
Anche facendo questo però,  dobbiamo fare i conti con un “vizio d’origine”.
Come sappiamo, (chi non ricordasse, torni a leggere il post “I pasticceri e la torta”) nel nostro Fondo la gestione finanziaria è attuata tramite due veicoli di diritto lussemburghese - EFFEPILUX ed EFFEPILUX Alternative - entro i quali troviamo le SICAV, cioè i Sub-fondi.  
Il Fondo Pensione – “Milano”- combina i Sub-fondi in maniera differenziata per comporre gli investimenti della Sezione1° e quelli dei tre Comparti della Sezione 2°.
Ecco il “vizio d’origine” : nella Relazione al Bilancio di “Milano”, cioè del Fondo Pensione, non troviamo nessuna informazione sulla gestione dei Sub-fondi (salvo l’indicazione della performance ed un  grafico sull’andamento della quota).
Queste informazioni le dovremo cercare nella relazione e Bilanci, in inglese, di EFFPILUX (che peraltro ha incominciato ad essere pubblicata sul sito del Fondo solo dallo scorso anno).
Può darsi che sia sia valutato che il Fondo non è tenuto a dare dettagli che riguardano l’attività di Effepilux perché questa è una entità giuridica  separata, e che comunque produce il proprio Bilancio con annessa Relazione.  
Ma si dimentica che Effepilux ed Effepilux Alternative sono organismi “operanti in aderenza alle linee guida d’investimento adottate dal  CdA del Fondo”: il risultato dei Sub-fondi è figlio delle decisioni d’investimento operate da “Milano”, che è responsabile, prima del risultato  dei singoli Sub-fondi, e poi del risultato delle Sezioni/Comparti, ovvero del risultato finale della componente mobiliare dell’intero Fondo Pensione.
In altre parole: il processo d’investimento, è attribuibile a due entità diverse solo nella sua forma giuridica, ma nella sostanza, la performance finale è il risultato di decisioni e scelte attuate da un gestore unico, cui va attribuita la responsabilità dell’intero processo: una catena di comando unica!       
Non è allora lecito aspettarsi che la Relazione di “Milano” porti anche informazioni che consentano di valutare la gestione dei Sub-fondi?
Alla fine, approvando il Bilancio del Fondo, approviamo l’operato del CdA su tutta la linea, sia per le sue scelte sul Lussemburgo, sia per quelle su Milano.
Nelle prime pagine della Relazione EFFEPILUX viene fatto un sintetico resoconto della gestione delle singole SICAV, con informazioni di sicuro utili a chi volesse approfondire (anche se dovrebbero essere integrate con il dato relativo alla performance dei benckmark).
Perché non riportarle – tradotte in italiano – nella Relazione del Fondo ampliando quello che oggi si limita, come detto sopra, a due tabelle?

Ecco: a noi basterebbe che nella Relazione del CdA che accompagnerà il Bilancio del Fondo al 31 dicembre 2013 figurassero queste tre o quattro paginette, insieme alla pubblicazione, sul sito, dei KIID dei Sub-fondi aggiornati con dati a fine anno sulle “past performance”.  
Per quanto riguarda il comunicato stampa che anticipa i risultati della Relazione, la pubblicazione pari pari della tabella “scomposizione dei rendimenti” (pagina 34 Relazione scorso anno) sarebbe estremamente più chiara del linguaggio descrittivo sin qui utilizzato.
Non nascondiamo che ci farebbe piace poter leggere ancora di altre cose, ma per intanto ci accontenteremmo di quanto indicato sopra (nel frattempo  si potrebbe “allineare” ad aprile anche la data per l’Assemblea annuale di EFFEPILUX ALTERNATIVE, oggi stabilita a giugno, dopo cioè quella del Fondo!).


E NELLA RELAZIONE DELLA SEGRETERIA NAZIONALE INVECE…
 
Nello stesso periodo in cui viene messa a disposizione la Relazione al Bilancio,  gli “iscritti ante” potranno leggere anche   la Relazione della Segreteria Nazionale sull’attività dell’Unione.
E’ un documento importante che dovrebbe illustrare ai soci, pur in sintesi, l’azione dell’Organo Esecutivo diretta a perseguire gli scopi dell’Ente: quello che si è fatto, quello che non si è fatto,  quello che s’intende fare; perché si è fatto, o perché non si è fatto, e così di seguito. 
Rivedendo questo documento, ci è sembrato che in qualche occasione si sia dato un peso importante all’illustrazione del “contesto” entro il quale si è mossa la nostra Società e l’economia del nostro Paese nell’anno in questione. Un richiamo a questi temi è doveroso, ma non sembra il caso che tale richiamo occupi metà della relazione.
L’importanza per noi “cittadini” di questi temi, ha forse preso la mano dell’estensore, ma dopotutto questi sono temi noti, e, proprio per questo, sembra eccessivo dedicarvi comunque tanto spazio.
Meglio concentrarci sui fatti, gli avvenimenti, la vita della nostra Associazione, fornendo maggiori elementi di dettaglio sulle singole situazioni e/o iniziative.
Senza criticare il passato, vogliamo proporre qualche tema per la Relazione di quest’anno. 
Vorremmo si partisse dall’avvenimento più importante nella vita dell’Unione dello scorso anno:
l’elezione dei nostri rappresentanti nel Fondo.
Il risultato naturalmente lo conosciamo, ma come si è arrivati alla designazione degli eletti? Vedendo i nomi, verrebbe da pensare che nessuno desideri impegnarsi in posizioni di responsabilità…
Nel Fondo poi, abbiamo “perso” la posizione di membro effettivo nella Commissione Investimenti; abbiamo avuto la Vice Presidenza, che però ci spettava per effetto della rotazione nelle cariche: se tiriamo la somma, noi pensionati  “contiamo” di più o di meno?
Dopo si dovrebbe parlare della revisione del nostro Statuto, non perché questo, nel testo entrato in vigore con il primo gennaio di quest’anno, sia stato rivoluzionato, ma esattamente per il contrario.
Quali considerazioni hanno portato a cassare ipotesi di modifica che hanno continuato ad impegnare una neo eletta Commissione (non avevamo già una Commissione Studi che era stata sin qui impegnata su questo tema?) anche all’inizio di quest’anno?
Ancora: è’ stata sollevata l’ipotesi dell’esistenza, in chiave prospettica ed in condizioni di particolare criticità, di  un potenziale problema circa gli effetti sul patrimonio della Sezione 1° conseguenti all’applicazione dell’art 70 dello Statuto del Fondo: è stata valutata in maniera analitica la fondatezza di tale ipotesi? Non si trascuri il fatto che nemmeno il Fondo si è ad oggi espresso sulla questione in termini validamente supportati dalla normativa in vigore.
Altri temi di cui vorremmo leggere, riguardano:
i rapporti in Consiglio con i Rappresentanti dei colleghi in servizio;
la maggior informativa proveniente dal Fondo sulle attività di gestione del patrimonio, tanto nella sua componente mobiliare che immobiliare;
la comunicazione con i Soci ed il Sito dell’Unione.
Vorremo chiudere con un appunto sulla “forma” della “mozione finale” che tradizionalmente conclude ogni nostro Consiglio Nazionale:
questo “ringrazia….sottolinea….esprime….invita….informa….impegna….ecc. ecc:” non suona un po’ superato come linguaggio? A noi richiama il comunicato conclusivo di un’assemblea di fabbrica anni 70…
 

 

MODIFICHE STATUTARIE UNIONE: CONCLUSIONI COMMISSIONE RISTRETTA
 
Chi ha seguito, anche sul nostro blog, le vicende delle modifiche allo Statuto dell’Unione Pensionati, avrà certamente notato come non si sia ancora giunti al termine del processo.
Sul testo approvato lo scorso anno in Consiglio Nazionale ed entrato in vigore con l’inizio di quest’anno, c’era ancora evidentemente qualche approfondimento da fare, se è vero che, nella riunione del 4 dicembre scorso, la Segreteria Nazionale aveva deciso di istituire una “Commissione ristretta” che avrebbe dovuto valutare due ulteriori proposte di modifica a quello stesso testo che di li a pochi giorni sarebbe entrato in vigore.

Su che cosa vertessero tali due nuove proposte, non è dato sapere, perché il verbale non lo racconta; ma tant’è.
La “Commissione ristretta” lavora alacremente, e già nella successiva riunione di S.N. in febbraio, presenta le sue conclusioni.
E dal verbale leggiamo che:
“Come deliberato dalla precedente S.N. sono state esaminate da una Commissione ristretta le
modifiche statutarie proposte dai Gruppi Campania e Veneto. La Commissione ha approntato un
testo concordato, lasciando alla Segreteria la decisione per alcuni articoli sui quali il parere dei
commissari non era unanime.
Si procede quindi alla lettura, articolo per articolo, del testo modificato.
La Segreteria approva all’unanimità, ad esclusione dell’art.14, nella parte in cui prevede l’abolizione dell’incompatibilità fra le cariche di Presidente di Gruppo e Segretario, che viene approvato a maggioranza…”
Il significato di quanto trascritto in corsivo, ci sembrava essere che la Segreteria approva, a maggioranza, l’abolizione dell’incompatibilità, mentre invece approva, all’unanimità, tutto il resto.  Comunque approva!
Però l’approvazione di una tal proposta ci lasciava stupiti, anzi, esterrefatti!
Allora, timorosi di dover registrare i primi sintomi di quelle malattie degenerative che arrivano con l’età, abbiamo chiesto lumi per ottenere “ l’interpretazione autentica”.
E qui ci è stato ufficialmente chiarito che “…. la Segreteria si è detta a maggioranza favorevole che non esista incompatibilità tra le due cariche…”  SIC !
Scossi da tal conferma, abbiamo incominciato a ragionare sulla portata di tale orientamento.
Poniamo che il prossimo Consiglio Nazionale – mancano appena un paio di mesi – influenzato anche dal parere della S.N., approvi la modifica, che quindi entra in Statuto.
Cosa succederà  quando, nel successivo Consiglio Nazionale, ci potranno essere uno o più colleghi che sono allo stesso tempo Presidente del proprio Gruppo territoriale, ed anche Segretario Nazionale?
Quando si tratterà di approvare la Relazione ed il Bilancio, costoro, Segretari/Presidenti, dovranno astenersi dal voto in quanto,  ai sensi dell’art. 19 dello Statuto, i Segretari  “non votano quando si giudica il loro operato”?
Se così sarà, il Gruppo territoriale rappresentato dal Presidente che è anche Segretario,  non potrà di fatto esprimere il proprio voto perché quel Presidente, in quanto Segretario, non può votare! 

Allora il diritto al voto dei Soci che fine fa?
Se invece, con soluzione diametralmente opposta, si consentirà a costoro - Presidenti/Segretari – di  votare, costoro di fatto voteranno il proprio stesso operato!
Un conflitto di interessi mostruoso!
Se, all’estremo, tutti i Segretari fossero anche Presidenti di Gruppo, impediamo di fatto il voto a tutti i Soci (i Segretari/Presidenti non votano), o avremo una Segreteria Nazionale completamente autoreferente (i Presidenti/Segretari che votano sé stessi)?
Riteniamo che, dopo la confusione di ruoli che non si è voluta sciogliere cassando l’ipotesi di una “Assemblea di Delegati” (nostro post del 13 febbraio), abolire anche l’incompatibilità tra queste due cariche porti in ogni caso alla totale negazione del diritto dei Soci ad esprimersi, con il voto, sull’operato dell’Organo Amministrativo.

E’ questa la direzione che si vuol dare all’Unione?

L’abolizione dell’attuale divieto, deve evidentemente stare a cuore a qualcuno, perché la proposta è arrivata, ed è stata avvallata dalla Segreteria. Non capiamo perché, ma qualcuno che vuole togliere di mezzo l’incompatibilità, c’è. Una poltrona non basta?  
Se la cosa interessa così  tanto, possiamo, da un punto di vista puramente “tecnico”, suggerire che si adotti in Statuto la formulazione che prevede l’Assemblea dei Delegati, unita al divieto di eleggere come Delegato al C.N. il Presidente di Gruppo. Questo permetterebbe ad un Presidente di essere anche Segretario, e ai soci del Gruppo di esprimere in C.N. il voto, attraverso un Delegato che non è il Presidente.  
Abbiamo detto “soluzione tecnica”, perché nella sostanza, siamo comunque di fronte alla classica foglia di fico che maschera una situazione di fatto  sempre estremamente equivoca (immaginate il Delegato che vota contro il suo Segretario/Presidente?).

Quindi ancora una porcheria. Come porcheria sarebbe l’abolizione tout-cour del divieto!

Resta solo da confidare che, in Consiglio Nazionale, si usi, né più né meno, il normalissimo buon senso!  

 

RENDIMENTI SEZIONE 1° E PENSIONI 1°: le regole.
 
Chissà se qualcuno di voi, amici pensionati, è rimasto sorpreso leggendo il comunicato stampa del CdA del Fondo. Sorpreso per il fatto di leggere che, ad un rendimento positivo degli attivi della Sezione, si accompagna una diminuzione, pur modesta, delle pensioni.
La comunicazione della Segreteria Nazionale dell’Unione fornisce qualche dato in più del comunicato del CdA, ma rimanda alle previsioni statutarie per giustificare la riduzione.
Tutto assolutamente ineccepibile.

Noi però pensiamo che qualche parola di spiegazione non sia fuori luogo, e se anche voi ritenete utile ripercorrere la strada che porta alla decisione di intervenire – o non intervenire - sui trattamenti, allora seguiteci (con un po’ di pazienza, perché cercheremo di partire proprio dall’ABC del meccanismo).

Il livello delle nostre pensioni deriva dall’applicazione al rendimento annuale delle attività della Sezione 1°, di un meccanismo di rivalutazione codificato statutariamente.
Quindi due gli elementi da prendere in considerazione:
-          il rendimento degli attivi (quindi rendimento della componente “immobili” e rendimento della componente “titoli”)
-          le “regole” dello Statuto (artt. 29 – 71 – 72).

Rendimento degli attivi: in questo momento non ci interessa capire se il + 2,98% del 2013 è un risultato buono o deludente; ne stiamo già facendo oggetto di approfondimento in altri post, e altro ancora diremo. Vogliamo invece mettere l’accento su un fatto strutturale che caratterizza la Sezione 1°: la pesante – 50% - componente immobiliare: il rendimento della Sezione deriva per metà dal rendimento degli immobili.  
Non occorre che si spendano parole per ricordare quale sia l’attuale situazione del mercato immobiliare. Sono certamente lontani – e non torneranno più! – i tempi nei quali questa componente permetteva, grazie anche alle rivalutazioni, rendimenti a due cifre (2007: rendimento immobili + 13,7% di cui  72% derivante da rivalutazioni).
Oggi, con la maggior parte degli immobili conferita al Fondo Immobiliare EFFEPI Real Estate (il cui rendimento 2013 è stato prossimo allo zero a seguito di svalutazioni) c’è solo da far affidamento sui dati contenuti nel Business Plan dellla SGR che gestisce il Fondo, e che danno per il 2014 un dividend yield del 2,30%, in miglioramento al 3,70% come dato medio a 5 anni (plus/minus da valutazione escluse).
Quindi, per i prossimo 5 anni, potremmo aspettarci un rendimento della componente immobili della Sezione, pari all’ 1,85% (3,70 diviso a metà, perché gli immobili come detto, pesano la metà del totale degli attivi).

Teniamo ben presente questo dato : rendimento atteso della metà del patrimonio: 1,85%
Cosa “valga” questo numero, lo vediamo più avanti.

Regole dello Statuto: qui la cosa si complica, e non siamo tanto sicuri nemmeno noi di aver capito esattamente il meccanismo. Se incorriamo – in totale buona fede – in errore, qualcuno ci corregga, e faremo tutte le necessarie rettifiche.

A fine esercizio, il Fondo calcola, per la Sezione 1°, il rendimento degli immobili e quello della gestione finanziaria (2013 rispettivamente + 0,47% e + 2,54%); rettifica per i costi della gestione amministrativa ( - 0,03%) e determina il “tasso di rendimento effettivo” della Sezione : + 2,98%, il ben noto dato per l’esercizio 2013.
Se la regola fosse: tot rende il patrimonio, di tot crescono le pensioni (o diminuiscono se il rendimento è negativo), questo sarebbe il valore della rivalutazione del trattamento.
Ma questo dato viene traslato sulle pensioni in maniera diversa: si parte dall’art 29 dello Statuto che dice – ci esprimeremo in termini meno tecnici ma più immediatamente comprensibili - che di questo rendimento effettivo viene considerato, ai fini del calcolo ”rivalutazione pensione” solo per una parte, la così detta “aliquota di retrocessione” che è oggi del 70% (75% fino al dic 2012,ma in precedenza più elevato).
La regola di prima dovrebbe allora diventare: tot rende il patrimonio, del 70% di tot crescono le pensioni.
Dovrebbe essere, ma non è, perché c’è ancora una complicazione:  poiché la pensione è calcolata tenendo già conto di un rendimento futuro del patrimonio pari al così detto “tasso tecnico”, si deve detrarre dal risultato dell’operazione precedente anche questo valore.

Spieghiamo meglio per chi con le rendite ha poca dimestichezza.

Se porto 100.000 Euro ( tecnicamente si chiama “premio”) ad una Compagnia di Assicurazione e chiedo in cambio di versarmi, per il resto della mia vita, un certo importo annuale ( = rendita annua), la Compagnia fa questo ragionamento: hai 60 anni, quindi hai una aspettativa di vita di altri, poniamo, 22 anni: ti darò un importo annuale pari ad un ventiduesimo della somma che mi consegni, detratte tutte le mie commissioni e spese (evidentemente semplifichiamo molto).
Però, dice poi la Compagnia, io investo il tuo premio, traendone un rendimento, e questo rendimento te lo retrocedo (ma solo in parte perché devo recuperare le spese e anche guadagnare qualcosa: quello che ti riconosco è l’aliquota di retrocessione!).
Quindi, annualmente ti verserò una rendita pari ad un ventiduesimo del premio, insieme ad un ventiduesimo del rendimento che ritengo di poter conseguire con l’investimento di quanto anno per anno resta del premio originario.
Dato che il valore della rendita la Compagnia lo deve fissare oggi, deve fare tutto il calcolo assumendo di riuscir a far fruttare il premio ad un tasso che deve definire in partenza: questo tasso è il tasso tecnico.
Quindi la rendita che pagherà la compagnia tiene già conto di un rendimento del premio sottostante pari al tasso tecnico: la rendita incorpora il tasso tecnico.
Se poi la Compagnia non riesce ad ottenere un rendimento pari almeno al tasso tecnico, ci rimette di suo.

Chiarito questo concetto, torniamo al nostro caso con tre esempi numerici:
-          tasso di rendimento effettivo degli attivi della Sezione: 10%; percentuale di retrocessione 70% = rendimento retrocesso 7%; meno tasso tecnico 3,5% = margine per rivalutazione della pensione: 3,5%
-          tasso di rendimento effettivo degli attivi della Sezione: 4%; percentuale di retrocessione 70% = rendimento retrocesso 2,80%; meno tasso tecnico 3,5% = - 0,70 e questo saldo negativo sta a significare che con la pensione ci è stato pagato un rendimento che nella realtà non si è conseguito: la pensione dovrebbe essere ridotta, perché il nostro Fondo, a differenza di quanto abbiamo detto nel caso della rendita della Compagnia di Assicurazione, scarica sui pensionati i minori rendimenti rispetto al tasso di equilibrio. 
-          tasso di rendimento effettivo degli attivi della Sezione: 5%; percentuale di retrocessione 70% = rendimento retrocesso 3,5%; meno tasso tecnico 3,5% = margine per rivalutazione della pensione: zero. Significa che,  con questo livello di retrocessione, occorre un rendimento degli attivi pari al 5% per ottenere una situazione di indifferenza in cui  le pensioni né calano, né crescono. Per comodità  chiameremo questo 5% “tasso di equilibrio”. Ovvio che se venisse modificata l’aliquota di retrocessione, cambierebbe il tasso di equilibrio (le due misure si muovono in senso inverso: se diminuisce l’aliquota di retrocessione, deve aumentare il tasso di equilibrio).

Il meccanismo descritto spiega (anche se non è la spiegazione completa) come ci possa essere una diminuzione delle pensioni, pur in presenza di  un risultato positivo degli attivi della Sezione.
Nello specifico, nel 2013 non solo non si è raggiunto il tasso di equilibrio di cui sopra, ma si portano a galla anche i problemi di rendimenti degli ultimi esercizi, positivi, ma nell’insieme insufficienti a recuperare la grossa perdita segnata dal 2008 ( - 8,40% della gestione, ma che diventa poi, ai fini della pensione, - 10,47%).

Anche questa motivazione comunque fornisce solo una parte della spiegazione, perché a questo punto si innesta una nuova serie di considerazioni che hanno a che vedere con il bilancio tecnico e con la “destinazione” che viene data alla quota di rendimento non retrocessa, che rimane nel patrimonio della Sezione, ma che può venir distribuita in caso di rendimenti successivi negativi (N.B.: precedentemente nel post, in maniera erronea, "ma non viene distribuita attraverso le pensioni").
E sono approfondimenti che ci riserviamo per una prossima occasione.

Quando comunque tra qualche settimana dovremo votare il bilancio 2013, ricordiamoci che dobbiamo votare il risultato, cioè la gestione, e non il meccanismo, ovvero le  regole!
Se il risultato, e quindi la gestione 2013, ci appare soddisfacente, il bilancio si approva.
Se le regole non ci convincono, si dovrà, tramite i nostri rappresentanti, cercar di cambiarle! 




RENDIMENTI SEZIONE 1° E PENSIONI 2°: il coefficiente di rivalutazione


Nel post precedente abbiamo ripercorso la procedura che, sulla base del rendimento effettivo degli attivi e data una certa aliquota di retrocessione con tasso tecnico al 3,5%, indica se vi sia o meno margine per variazioni all’importo della pensione.
Per completare la rassegna delle norme statutarie che disciplinano l’argomento, bisogna da ultimo fare menzione di quanto previsto dall’art 29 dello Statuto, che nella sostanza indica il procedimento “aritmetico” attraverso cui si arriva a definire le variazioni della prestazione.
Dice l’articolo che ..”le pensioni base vengono adeguate annualmente in base ad un coefficiente che si ottiene moltiplicando il valore 16,33972 per un indice , con base 100, che, a far tempo dal 1 gennaio 1995, si accresce in ragione del tasso di rendimento effettivo del Fondo...ridotto in base all’aliquota...(l’aliquota di retrocessione)...al  netto del tasso tecnico.”
Al pratico: invece che dire “le pensioni vengono adeguate annualmente sulla base del tasso di rendimento, ridotto dell’aliquota retrocessione, dedotto il tasso tecnico”, si dice “il rendimento, ridotto dell’aliquota, dedotto il tasso tecnico, si applica al coefficiente dell’anno precedente, ed il nuovo coefficiente si applica alle pensioni”. Il risultato “matematico” non cambia.
Questo coefficiente viene  riportato in Bilancio Ufficiale, riepilogato in una tabella che per l’esercizio 2013 si trova a pagina 31 (qui ed è per comodità riportata anche in calce al post)  ed è quello della colonna “calcolato – Art. 29”, dove “calcolato” indica il risultato matematico dell’operazione oramai nota, mentre la colonna “applicato” indica il valore che si è effettivamente “ribaltato” sulle pensioni: i due valori dovrebbero di massima coincidere, ma eventi straordinari possono indurre il CdA a non applicare interamente la variazione.
E’ stato il caso dell’esercizio 2008 quando, pur di fronte a risultati fortemente negativi nella gestione, il CdA ha deciso di introdurre correttivi diversi lasciando inalterate le pensioni (il “calcolato” è diminuito, l’”applicato” è rimasto invariato).  
Sulla colonna “applicato”, faremo comunque altre considerazioni più avanti.
Ultimo punto – e questo è proprio l’ultimo! – il disposto del secondo comma dell’art 16, che dice che ogni anno il CdA determina un presunto tasso di rendimento degli attivi per l’anno a venire, e, applicata come il solito l’aliquota di retrocessione e dedotto il tasso tecnico, ne rende disponibile il 50% per il pagamento in via anticipata con la pensione di gennaio. Come dire: “presumiamo che il Fondo realizzerà questo risultato, quindi, fatto il solito calcolo, ne anticipiamo con la pensione la metà. A fine anno si faranno i conti a consuntivo.”
Ci rendiamo conto che il percorso è complesso, ma per chi avesse voglia di una verifica con i numeri (dalla quale si capirà certamente meglio tutto il meccanismo), consigliamo di andare a pagina 23 della relazione al Bilancio 2005 ( qui )  tenendo conto dei seguenti valori relativi a quell’esercizio:
rendimento effettivo 14,80%
aliquota retrocessione 83%
tasso tecnico 3,5%
rendimento retrocedibile (14,80 * 83% - 3,5) = 8,784%
indice calcolato 2005:  113,55
indice calcolato 2006: (113,55 * 8,784%) = 123,53
La tabella a piedi pagina, ci dà anche lo spunto per una precisazione: tutto quanto sin qui descritto, riguarda esclusivamente le pensioni della Sezione I° e non invece le rendite dei pensionati della Sezione 2°: le due Sezioni hanno infatti una gestione previdenziale distinta ed autonoma, e quindi una modifica dell’indice di rivalutazione delle prestazioni di cui all’art. 29 (Sezione I°) dello Statuto non ha alcuna rilevanza per le prestazioni erogate ai sensi dell’art. 42 (Sezione 2° il cui coefficiente è invece quello indicato dalle prime due colonne della tabella).   

RENDIMENTI SEZIONE 1° E PENSIONI 3°: c’è ancora fieno in cascina?
 
 
Con il '95, con l'introduzione della normativa di cui al D.Lgs, 124/93 che non consente più ai Fondi come il nostro di accogliere nuovi iscritti, si deve abbandonare l'indicizzazione delle prestazioni ai miglioramenti contrattuali (la prestazione era finanziata sostanzialmente a ripartizione) e passare alla indicizzazione sulla base del tasso di rendimento del Fondo (finanziando l'intera prestazione in regime di capitalizzazione completa), con l’introduzione, ai fini di un miglior controllo dell’equilibrio del Bilancio tecnico, di una aliquota di retrocessione del rendimento, la cui misura viene determinata anno per anno dal CdA.    
 
Con il nuovo sistema è chiaro che, se del rendimento effettivo degli attivi ci viene retrocesso, ai fini delle variazioni del trattamento, solo una quota, (oggi del 70%, ma in passato più differenziata), significa che il residuo 30% rimane “acquisito” al Fondo. Rimane nel patrimonio del Fondo.
Qualunque sia il rendimento degli attivi, purché positivo, “il banco vince”:  incamera sempre qualcosa.
Più sono elevati i rendimenti, più  consistente risulta questo “qualcosa”.
 
Però abbiamo anche visto – dal 2008 in avanti – che a fronte di rendimenti negativi della gestione, il CdA può decidere di mantenere invariate le pensioni (seppur intervenendo su altri parametri) a condizione che questo “distribuire rendimenti non conseguiti” non alteri l’equilibrio del bilancio tecnico.
Risultato, quello del mantenimento dell’equilibrio, possibile per una ragione molto semplice: le pensioni si possono mantenere invariate (= indice applicato) anche di fronte ad un rendimento negativo (che avrebbe dovuto portare alla riduzione delle stesse = indice calcolato), perché la differenza negativa viene “ripianata” attingendo a questo “qualcosa” che, per facilità di linguaggio, chiameremo impropriamente “riserva”.
La “riserva” quindi, viene “ridistribuita” agli iscritti
Quando, perdurando rendimenti negativi sempre a fronte di pensioni invariate, questa “riserva” si è esaurita (o si è ritenuto di non assottigliarla ulteriormente), si è giocoforza dovuto procedere con una riduzione dei trattamenti, per non squilibrare il Bilancio Tecnico.
E’ successo nel 2012 e poi ancora quest’anno.
 
Laddove non fosse chiaro per tutti il significato di “Bilancio Tecnico” (B.T.), concediamoci una breve digressione.
 
Il concetto, espresso in maniera estremamente semplice e sintetica, è il seguente: occorre che il patrimonio della Sezione risulti sufficiente a consentire il pagamento delle pensioni a tutti gli iscritti e fino all’ultimo giorno di vita dell’ultimo iscritto.
Gli attuari, per verificare questo equilibrio, non avendo ancora messo a punto il metodo “sfera di cristallo”, devono adottare delle ipotesi di sviluppo delle – molte! – variabili in campo: devono definire il probabile tasso di rendimento del patrimonio, la probabile vita residua degli iscritti, tener conto di variazioni intervenute nella regolamentazione o nella fiscalità, ecc., ecc., e vedere se, applicando l’insieme di tutte queste variabili, l’attuale patrimonio della Sezione risulta sufficiente a pagare il  presente livello di pensioni - compresi gli aumenti derivanti dall’applicazione del tasso tecnico di cui abbiamo già parlato - fino all’ultimo superstite.
Teoricamente, quando questi se ne andrà, il patrimonio della Sezione dovrebbe risultare azzerato: se il patrimonio si esaurisse prima, significherebbe che al Fondo mancano soldi per pagare le ultime pensioni (e non interessa qui stabilire se e chi dovrebbe caso mai farsi carico del deficit), se invece avanzassero soldi ma non ci sono più pensioni da pagare, significherebbe esattamente l’inverso: si sarebbero potute pagare – “prima” – pensioni più alte (e questo invece interessa molto agli iscritti di oggi,  che preferiscono...l’uovo oggi che nessuna gallina domani!).
Lo sbilancio, positivo o negativo che sia, può derivare dal  modificarsi di una qualsiasi – o più d’una insieme – delle variabili in gioco.
La stesura periodica del bilancio tecnico consente quindi la verifica dell’equilibrio cui sopra: se il B.T. presenta un deficit, si dovrebbero – almeno in teoria -  abbassare le pensioni attuali, se presenta un surplus, le pensioni attuali si potrebbero aumentare.
 
L’aliquota non retrocessa – rendimento effettivo meno aliquota di retrocessione -  essendo che rappresenta rendimento realizzato dalla gestione ma non ribaltato sulle pensioni, accresce il Patrimonio della Sezione che, a parità di ogni altra variabile, determina una eccedenza positiva nel B.T. (così di massima fino al 2007).
Così come, per converso, il pagamento, anche attraverso il tasso tecnico, di rendimenti che non si sono conseguiti, depaupera il patrimonio e finirebbe col generare deficit in B.T. se non si interviene sulle pensioni. (2008/9/10/11, pur a fronte di risultati negativi le pensioni non vengono toccate;  2012 dove invece, pur a fronte di un modesto risultato positivo, le pensioni diminuiscono; 2013 modesto risultato negativo ma pensioni invariate; e infine 2014 con risultato negativo e pensioni ancora ribassate).
 
Questo meccanismo, innestato sui rendimenti conseguiti negli ultimi esercizi, genera fatalmente una domanda. Che si innesta su un dibattito che già da molti anni appassiona numerosi colleghi: quello che è avvenuto negli ultimi – dal 2008 – anni, ha davvero azzerato le “riserve” createsi in precedenza? ci sono ancora “riserve” che potrebbero oggi essere distribuite senza alterare l’equilibrio del B.T.?
 
Abbiamo voluto approfondire la questione della retrocessione, perché, almeno sotto il profilo “finanziario”, possiamo, adesso che abbiamo capito bene il meccanismo, cercar di trarre delle conclusioni: basterà mettere a confronto, in una tabella come quella riportata sotto, il valore dell’indice “applicato” dal Fondo nel calcolo, anno per anno, delle pensioni, con quello che sarebbe stato lo stesso indice se il rendimento effettivo, al netto naturalmente del solo tasso tecnico, fosse stato retrocesso per intero.
Come dire : che cosa ha pagato il Fondo tenendo conto che una quota di rendimento non viene, insieme al tasso tecnico, retrocessa, rispetto a quanto avrebbe pagato se tutto il rendimento (meno il tasso tecnico) fosse stato retrocesso:
                                                     
                                         
                                
Il Fondo, scontata l’aliquota di retrocessione, ha pagato in pensioni di più di quanto non avrebbe pagato se avesse retrocesso i rendimenti al 100%! (scorporato in entrambi i  casi il tasso tecnico, e questo lo riteniamo oramai sottointeso).
Ritrasformando l’indice in % di rendimento, questa differenza vale all’incirca 6 punti percentuali.
 
Questo ci dice il “gioco” di queste variabili finanziarie.
 
Ma nella valutazione dell’equilibrio del bilancio tecnico, entrano in  gioco, abbiamo detto, una serie di altri elementi di natura demografica, regolamentare, fiscale, e quant’altro, che pure producono effetti finanziari sulle riserve tecniche, cioè sulle grandezze patrimoniali espresse.
Effetti a volte – raramente – positivi (p.e. la gente andrà in pensione più tardi); più spesso negativi (p.e. l’allungamento delle aspettative di vita).
 
Se allora questo “di più pagato” non nasce dal gioco delle retrocessioni e dei rendimenti, vuol dire che le “riserve” che hanno consentito di “pagare di più” nascono,  nella fase di definizione del B.T.,
da una sovrastima  di qualcuno ( o più) di questi fattori negativi, oppure da una sottostima di qualche fattore positivo.
E dato che dal 1995 ad oggi qualcuno di questi fattori negativi si sarà certamente materializzato ed avrà manifestato il suo peso – piccolo o grande che sia stato – in sede di redazione del B.T. di quell’epoca,  il risultato già visto sta anche a significare che le “riserve” non solo hanno consentito di “pagare di più”, ma  hanno anche consentito di assorbire l’effetto di fattori negativi di questa diversa natura che via via possano essersi materializzati.
 
Ci sono ancora “riserve” nelle pieghe del B.T.?
 
Non lo sappiamo; non siamo capaci di fare noi il B.T. (e anche se lo fossimo non abbiamo nessun dato su cui lavorare); qualche collega tra di noi avrebbe competenze per “leggere” il B.T., ma il B.T. non ci viene fornito; quindi ....dobbiamo fermarci qui.
 
Però le “riserve” c’erano (e meno male che sono state tirate fuori quando davvero dovevano esserlo!), ed i colleghi di prima – quelli che animano da anni il dibattito già ricordato – avranno buon gioco a sostenere che “allora ce ne saranno senz’altro ancora”.
“A pensar male si fa peccato ma spesso ci si azzecca” diceva quel noto personaggio...
 

RENDIMENTI SEZIONE 1° E PENSIONI 4°: le prospettive.
 
 
Nel primo dei post che abbiamo dedicato al rendimento della Sezione I°, avevamo portato, come esempio del conteggio attraverso cui si arriva alla determinazione dell’eventuale variazione della pensione, il seguente esempio:
  • tasso di rendimento effettivo degli attivi della Sezione: 5%; percentuale di retrocessione 70% = rendimento retrocesso 3,5%; meno tasso tecnico 3,5% = margine per rivalutazione della pensione: zero. Significa che,  con questo livello di retrocessione, occorre un rendimento degli attivi pari al 5% per ottenere una situazione di indifferenza in cui  le pensioni né calano, né crescono. Per comodità  chiameremo questo 5% “tasso di equilibrio”.
 
Il tasso di equilibrio del 5% dovrebbe derivare, ferma l’attuale suddivisione per classi di attivi, per metà, 2,50%,  dagli immobili e per metà, 2,50%, dai titoli.
Ma gli immobili, quanto meno quelli conferiti al Fondo Immobiliare, è previsto che rendano, a regime per i prossimi 5 anni, il 3,70% (qui) che pesato per metà, dà l’ 1,85% : un minor rendimento dell’0,65% rispetto al 2,50%  necessario all’equilibrio.
Il minor rendimento atteso della componente immobiliare dovrebbe allora venir compensato da un maggior rendimento della componente titoli.
Fatti altri due conti, la componente mobiliare della Sezione I° dovrebbe dare il 6,30% di rendimento (6,30% ponderato al 50% = 3,15% + 1,85% rendimento immobili = 5% tasso di equilibrio) per portare il risultato finale a livello di equilibrio.
 
Rendimenti a questo livello, negli ultimi anni (2008 in avanti) non sono mai stati raggiunti.
Questo di perse’ non può far escludere la possibilità che il “miracolo” avvenga; tuttavia l’andamento dei mercati, e il conseguente risultato di gestione dei sub-fondi lussemburghesi in questi primi quattro mesi d’anno, non porta  certo a ben sperare nemmeno per l’anno in corso .
 
Basandoci sul mix di portafoglio dichiarata in Bilancio relativamente alla Sezione I°, e sulla base dei rendimenti dei sub-fondi lussemburghesi rilevati dal sito finesti.com (sito al quale il B.U. si rimanda per “quotazioni e informazioni di dettaglio” ma che in effetti gratuitamente fornisce  solo le quotazioni, e a condizione anche si saper “smanettare” per arrivarci!), basandoci su questi dati si diceva, si può stimare, per la componente mobiliare della Sezione I°, un
 
rendimento  al 30 aprile 2014 dell’ 1,15%.
 
Come si può facilmente calcolare, parecchio al di sotto di quello che sarebbe il target di questi quattro mesi sia rispetto al tasso di equilibrio ( 5% / 3 = 1,67%), sia rispetto al rendimento del 6,30% calcolato come sopra (6,30% / 3 = 2,10%).
 
Morale: i rendimenti, a chiusura del primo quadrimestre, portano verso una nuova limatura alle pensioni, che, anche se probabilmente nessuno se ne è reso conto, nella realtà è già stata introdotta dal Consiglio attraverso la definizione al 4,25% del tasso di rendimento per l’anno in corso.
 
Spieghiamo meglio:
il rendimento definito annualmente dal CdA, è il rendimento che gli Amministratori  ritengono poter conseguire nell’anno, e che, sulla base dell’art. 17 comma 2, viene applicato, al netto della quota non retrocessa e al netto del tasso tecnico, all’indice di cui si è trattato  nel post precedente.
A fine anno, sulla base del rendimento effettivamente conseguito dagli attivi della Sezione, e tenuto conto eventualmente delle esigenze del Bilancio Tecnico, il CdA definisce i nuovi indici “calcolato” e “applicato” e, con la trasformazione in % di variazione del trattamento pensionistico,   “conguaglia” rispetto a quanto già conteggiato dal gennaio.
 
In termini numerici per l’anno in corso:  
rendimento stimato dal CdA : 4,25% (qui)
rendimento retrocesso : 4,25 * 70% = 2,975%
dedotto tasso tecnico : 2,975  - 3,5 = meno 0,525% (diviso 2 in quanto considerato, a termini Statuto, per la metà ) = 
 
meno 0,2625%, “pagabile”, cioè ribaltato sulle pensioni, già dall’inizio anno.
 
A fine anno si vedrà, e intanto non ci rimane che sperare nei mercati, dato che sull’altra metà del patrimonio – gli immobili – c’è ben poco da sperare!
Ma sarà saggio non farci troppe illusioni....
 
 
























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